21/09/2020
Reato di favoreggiamento per il lavoratore che mente sull’infortunio di un collega.
L’imputato, mentendo circa le modalità di un infortunio sul lavoro accaduto ad un suo collega in sua presenza, avrebbe reso dichiarazioni potenzialmente utili a sviare le indagini che si svolgevano, per quel sinistro, nei confronti del responsabile della sicurezza.
La Corte di Cassazione ha bocciato la tesi difensiva, secondo la quale il ricorrente, presente al momento del fatto, avrebbe agito per il timore di ritorsioni da parte del datore di lavoro. Si legge, infatti, nella decisione dei Supremi Giudici: il pericolo addotto (di perdere il lavoro) corrisponde a una mera suggestione logica, smentita dalla conferma delle dichiarazioni mendaci che hanno concretato il favoreggiamento contestato, ribadite dal ricorrente nel corso del giudizio, quando era già stato licenziato da tempo e pur potendo avvalersi della via d’uscita garantita dall’art. 376 Cod. pen. (la non punibilità in caso di ritrattazione prima della chiusura del dibattimento).
Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende che si stima equo liquidare in euro tremila.
Incorre nel reato di favoreggiamento personale chi mente sulla dinamica dell’incidente sul lavoro, subìto in cantiere da un collega, per proteggere il responsabile della sicurezza. La Corte di Cassazione ha, così, dichiarato inammissibile il ricorso presentato da un lavoratore contro la condanna per aver reso dichiarazioni potenzialmente utili a sviare le indagini su un sinistro che aveva coinvolto un altro dipendente della società, e che rischiavano di coinvolgere il responsabile della sicurezza nel reato di lesioni personali.
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